Comunione e liberazione. Una finestra aperta

 


Dei ciellini si dicono tante cose, ma io non sapevo neanche come si scrive la parola Cielle. Ne ho sempre sentito bisbigliare. Sono religiosi, hanno tanti figli, stanno fra loro. Presi uno a uno sono fantastici, in gruppo aiuto. Alcuni fanno voto di castità, gli altri si preservano per il matrimonio. Pregano prima di mangiare, appendono il crocifisso in salotto. Studiano, lavorano, arrivano in alto.
Poi ne ho conosciuto un qualcuno di persona.
A Lugano, noi allievi del Liceo, se avevamo bisogno di qualcosa, andavamo da Claudio Chiapparino: ci forniva un locale per le feste, la sala per le prove di teatro, ci trovava i lavoretti estivi... In classe con una mia amica c’era la B., ultima di sette figli, che mi aveva spiegato il senso della casta attesa: «Ti immagini come diventano preziose le cose che aspetti a lungo?».

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L'eleganza di Flavio Paolucci


A tre anni diceva: Voglio fare il pittore. Non ha mai cambiato idea.
È partito per Brera, negli anni Cinquanta, per studiare arte. I suoi genitori dicevano: Non è un mestiere, non si guadagna niente, non va bene. Però finché ha potuto Paolucci ha seguito i corsi. Poi, il padre, un operaio della Cima Norma, è morto in un incidente sull’Adula, e il giovane Flavio è dovuto tornare a casa. Ha lavorato a bottega a Locarno, ha continuato a studiare, a cercarsi, 
a sperimentare i colori e le materie.
Un viaggio in Marocco, a casa di un’amica 
che aveva sposato un uomo di Casablanca, 
gli ha arricchito lo sguardo. La luce.

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Pubblicato su Rivista 3valli, giugno 2021