«Quando sentiamo che in Svizzera si
parla di ‘immigrazione di massa’ a noi, qui in Libano, fa un po’
sorridere...». Laurent è operatore umanitario, vive in Libano da un
paio di anni e sua moglie, ricercatrice all’Università di Beirut,
aspetta un bambino. Sono svizzeri e appassionati di Medioriente,
parlano arabo molto bene e ne studiano ogni aspetto: lei più da
punto di vista storico, lui sul terreno, tra le pieghe
dell’attualità.
Su un terrazzo al dodicesimo piano di
Ashrafie, quartiere cristiano della capitale, ci raccontano il loro
Libano. Ci sono moltissimi problemi e grandissima gentilezza. La
gente parla tutte le lingue, oltre all’arabo soprattutto francese e
inglese, ognuno si veste come vuole e si paga ugualmente in dollari o
in lire libanesi: camerieri e commercianti danno il resto nell’una
o nell’altra valuta, senza mai sbagliare. Laurent ci dice che
all’inizio controllava sempre, poi ha smesso. Aline invece ci
mostra come è stato addobbato l’atrio di casa loro: con un abete
scintillante e poco lontano una mezzaluna illuminata.
Pubblicato su la Regione Ticino
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