Il corpo a corpo non significa picchiare. Anche la boxe può avere un ruolo sociale


 I giocatori di pugni

La boxe, uno sport che da sempre affascina scrittori e registi mentre fa paura al grande pubblico, può avere un ruolo sociale utile

«Da tre anni vengo qui e non sono più lo stesso. Da quando ho cominciato a fare boxe non ho più voglia di picchiare nessuno». Fare pugilato, infatti, non è lo stesso che dare botte e qui te lo ripetono in continuazione. Siamo nella palestra di boxe e thai boxe di Lucio Gallicchio, il Boxing Team Luganese, da alcuni anni trasferitosi da Massagno a Cadro. Un ex garage rimesso a nuovo in modo accogliente, con molto legno, un bel divano all’antica, una palestra con i macchinari per gli esercizi, tanti sacchi duri appesi al soffitto e un ring sopraelevato per gli incontri di boxe.
Alexandra ha scritto un libro dedicato a questa palestra e al suo gestore: «Una mia collega mi diceva: sei nervosa, fai boxe! Io cercavo di calmarmi con lo yoga, prendevo peso e non riuscivo mai a rilassarmi veramente. Mi sono iscritta di nascosto a un corso di pugilato e sono cambiata da così a così. Trattenevo la rabbia, ora incanalo le mie energie, conosco il mio corpo, sono dimagrita, sono più sicura di me stessa e ho più rispetto per quello che sono... tutto questo è positivo per me ma anche per tutti quelli che mi incontrano!». 

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David Larible, il clown dei clown, con il Circo Knie in Svizzera nel 2014


David Larible è – come quasi tutti nel circo – figlio d’arte. La sua famiglia lavora nel circo da sette generazioni di acrobati, giocolieri, musicisti, pagliacci. Suo nonno, francese, è nato a Martigny nel 1901, un giorno che erano in Svizzera in tournée, con il carrozzone e i cavalli e per la bisnonna era giunto il momento di partorire. Suo papà e lui stesso invece sono nati in Italia. ‘Anche tra il pubblico ci sono le varie generazioni, mi fa notare lui. Guarda lì (indica con la mano): vengono le nonne con le loro figlie e i nipotini. Questo è bellissimo’. Larible parla sei lingue molto bene e con noi naturalmente usa la sua lingua madre: l’italiano.
È un clown, lui, che quando va in giro si porta qualche chilo di buona pasta italiana e gli ingredienti per cucinare i sughi che gli piacciono di più; prende anche parecchi libri, perché legge un po’ di tutto, da Marquez a Hesse a Pirandello ai romanzi gialli; e la sua famiglia.
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Foto di Andrea Guidicelli

Philippe Van Parijs e il reddito di base incondizionato (o universale)


Il 4 ottobre di un anno fa 125mila firme sono state depositate a Palazzo Federale a Berna e tra tre anni gli svizzeri voteranno per o contro l’iniziativa sul Reddito incondizionato, che è una forma di ‘piccolo’ salario (ancora non si sa a quanto può ammontare, ma gli iniziativisti parlano di 2000-2500 franchi) che ha la caratteristica di essere distribuita a tutti i cittadini, ricchi o poveri che siano. Chi la definisce un’utopia realizzabile, chi ne parla come il cambiamento sociale del XXIesimo secolo, chi la paragona a novità che un tempo sembravano assurde come l’abolizione della schiavitù, l’introduzione del riposo domenicale, l’Avs, le otto ore di lavoro, il suffragio universale e via dicendo.
«L’economia non è un comparto separato, anche lei deve essere sottoposta a riflessioni etiche»: è un fondamento del pensiero di Philippe Van Parijs, professore alla Facoltà di scienze economiche, sociali e politiche dell’Università cattolica di Lovanio (Louvain), di cui anima la Cattedra di etica economica e sociale fin dalla sua creazione nel 1991. Van Parijs è conosciuto in Europa soprattutto come principale sostenitore della proposta di introduzione di un reddito di base.

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Proiezionisti del Festival del Film Locarno e vecchie pellicole


L’uomo nell’ombra è quello che fa luce. Se ne sta nella sua stanza, in fondo alla sala da cinema, da solo; lontano dai riflettori: è lui il riflettore e gli piace così.
I proiezionisti sono uomini discreti, non cercano la folla, sono artigiani. Amano la pellicola, il suo rumore, la sua fragilità e la sua potenza. Ci accolgono nei loro loculi scuri, sono sorridenti e contenti di parlare; ma poi, quando devono far partire il film, ci congedano con gentilezza e si vede che tornano volentieri al loro lavoro concentrato, appartato, taciturno.
Il papà di Jean-Michel era proiezionista pure lui, così da bambino un giorno lo ha portato con sé a vedere Robin Hood dalla cabina di proiezione. Poi ogni anno, per Natale, prendeva il figlio al lavoro e insieme vedevano il nuovo cartone animato di Wald Disney. Jean-Michel guardava un po’ il film e un po’ suo papà.  

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Foto di Stefano Spinelli
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Ioana Butu burattinaia rumena in Ticino



Ioana Buţu, migliore amica del cane Peo e di molti altri burattini, ci racconta che cosa significa per lei ‘animare gli oggetti’

Partiamo dai ricordi. Ioana Buţu, nata a Sibiu, bellissima cittadina nel cuore della Romania, aveva quattro anni quando ha infilato per la prima volta una mano in una calza e l’ha trasformata in un essere parlante. «Sono la minore di tre sorelle», racconta. «Però quando facevamo teatro ero io che comandavo: le mattine senza scuola prendevamo cucchiai di legno, gli dipingevamo la faccia e incollavamo capelli di lana; poi io creavo una storia, dicevo alle mie sorelle che cosa dovevano dire la sera, durante lo spettacolo che allestivamo in cortile. Facevamo così anche con le calze, che diventavano personaggi». E il teatrino? «Due sedie rovesciate e una coperta sopra!», ride allegra, questa attrice burattinaia arrivata negli anni Novanta dalla Romania nell’ambito di uno scambio culturale con il Teatro Dimitri.  

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Foto di Stefano Spinelli

Centro per rifugiati di Chiasso: «i richiedenti l'asilo ci fanno viaggiare sul posto»


Desideravo capire che tipo di mestiere è dirigere un Centro per Rifugiati e prendendo appuntamento con il direttore non avevo pensato di poter guardare io stessa qualche ora della vita che si svolge lì dentro. Antonio Simona saluta tutti con grande cordialità, ha la risata pronta e la sigaretta sempre in bocca. Stringe le mani con calore, quelle dei sorveglianti, dei colleghi, di chiunque si rivolge a lui. Mi mostra lo sportello dove arrivano i richiedenti l’asilo, per la maggior parte che viaggiavano in treno e portati lì dalle guardie di confine per la registrazione. Simona chiede: quanti ne sono arrivati oggi? Tre, gli dicono: uno dall’Egitto, uno dal Marocco, un altro dall’Eritrea.

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Fotografia di Stefano Spinelli  

Timerepublik, la banca del tempo da Lugano a New York con tappa in Brasile



TimeRepublik è una delle migliori piattaforme su internet: ci si scambia qualsiasi tipo di lavoro ed è stata fondata da due luganesi. Sul suo sito ci si iscrive, si definisce il proprio profilo a seconda di quali attività si è capaci di svolgere e si vuole mettere a disposizione. I talenti possibili sono 304, divisi in 62 sottocategorie e in 14 grandi settori: animali, arte, gastronomia, lavori domestici, mondo digitale, sport, salute e benessere... e più nello specifico troviamo aiuti che vanno da quello veterinario all’insegnante di discorsi in pubblico, dal traslocatore al consulente fiscale, dal massaggiatore al meccanico di bici.
Io so fare questo e lo offro; però ho bisogno di quello e lo prendo. Moneta di scambio: il tempo.

Vediamo come funziona.
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L'umiltà di studiare il cinese - Il Centro Culturale Cinese a Lugano e la sua fondatrice





Sta per compiere vent’anni il Centro Culturale Cinese di Lugano, voluto da Francesca Wölfler, che insieme con insegnanti e traduttori ha gettato un ponte tra due Paesi molto lontani...

Ha gli occhi a mandorla e a Napoli, dove è cresciuta, si è sempre sentita ‘fuori posto’. A Shanghai, invece, Francesca Wölfler dice che era come essere ‘veramente a casa’. L’origine dei leggeri tratti asiatici della sua famiglia è dovuta a un antenato dell’Est Europa, mentre lei è nata e vissuta fino all’età adulta in Italia. Voleva diventare medico, ma poi le cose sono andate altrimenti. Una motivazione profonda è affiorata e poi cresciuta in lei e Francesca si è ritrovata nella tranquilla e silenziosa isola in mezzo al caos di Napoli, che è la prestigiosa Università di Studi Orientali.

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Foto di Stefano Spinelli 

Una giornata al Tavolino Magico con Fra Martino Dotta


Sono lunghe le giornate di Fra Martino. E dense. Anche se ci ha fatto l’abitudine, anche se è attorniato da persone brave, competenti, generose, la realtà dentro la quale nuota il frate cappuccino di Montagnola è quella della povertà. La povertà di casa nostra, dunque quella più lontana da noi, quella che stentiamo a credere, perché la povertà, ci hanno insegnato, è sempre al di là del mare, o nelle metropoli, o dove c’è la guerra.
E invece no. Il fronte è anche qui e per un giorno, un mercoledì di luglio, cerchiamo di guardarlo con gli occhi di un religioso.

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